Gli affioramenti di ofioliti (rocce con amianto) segnalate nelle zone della Variante di Vaslico sulle carte di uno studio dell'ARPA del 2004 |
“Amianto da queste parti? E chi lo sapeva?” E stato questo
per tutta la serata il leit motiv degli esperti di Arpa e Ausl, durante il
pubblico incontro tenuto a Pian di Setta il 23 maggio. Ma è falso che nessuno
sapeva, come dimostra lo studio distribuito a giornalisti e residenti da
Orietta Sala dell’Arpa di Reggio Emilia, che dello studio è stata coordinatrice
e che riferirà, nei prossimi giorni, sui campioni di terriccio all’amianto
portati a Reggio Emilia per essere analizzati. I campioni sono stati raccolti in
queste settimane nelle zone coperte dal 30 marzo scorso con enormi teli.
Inoltre sono state allestite due postazioni con pompe che convogliano l’aria
attraverso filtri che poi verranno analizzati in laboratorio per misurare la
quantità di aerodispersione di fibre d’amianto e l’eventuale pericolosità per
chi le respira.
Quanto allo studio, che fu commissionato nel 2004 dalla
Regione, basta guardare la
Cartografia allegata per scoprire che la forte concentrazione
in tutto l’Appennino bolognese di affioramenti di ofioliti, cioè di rocce
contenenti amianto, è ben nota da almeno 9 anni, cioè da quando è stato
pubblicato lo studio. Strano che la curatrice del volume Orietta Sala, che
stava dietro al tavolo degli esperti la sera del 23 maggio, non abbia aperto
bocca per smentire i suoi colleghi e dire come stanno realmente le cose.
Infatti nella cartografia allegata al volume gli affioramenti di ofioliti sono
segnati con grande evidenza ed occupano aree vastissime della montagna
bolognese, in particolare proprio nella zona attraversata dagli scavi della Variante di
Valico. E se tale tipi di rocce sono affioranti, non occorreva molto intuito per supporne la
presenza, in grande concentrazione, anche nei substrati a qualche decina di
metri di profondità, dove sono al lavoro le talpe che scavano le gallerie della
Variante. A meno che qualcuno non dimostri il contrario, cioè che non c’è
collegamento tra la composizione chimico-fisica della superficie e quella degli
strati sottostanti.
Davanti ai residenti che chiedevano spiegazioni, tutti gli
esperti in coro hanno sempre ripetuto, mentendo per tutta la sera, che “nessuno
se lo poteva immaginare” che lì ci fosse amianto. Finchè a dirlo erano i
sindaci di Monzuno e di Grizzana, la cosa è comprensibile, visto che non sono
né chimici né geologi, anche se il loro compito sarebbe quello di tutelare la
salute dei residenti. Ma se a dirlo sono funzionari di Arpa e USL, a chi serve
questa menzogna? Chi vuole coprire? In effetti, l’impressione che tutti si sono
fatti è che i tanto decantati “controlli a campione” svolti in questi anni da
Arpa e da USL hanno fatto cilecca proprio sulla sostanza più pericolosa, più
segnalata e per questo più facile da scoprire, cioè l’amianto. In una
intervista esclusiva che ci ha rilasciato il 29 marzo il Direttore di Arpa
Bologna, Maria Adelaide Corvaglia, si afferma testualmente che “da quando è
stato attivato il deposito AD5 sul lungo Setta sono stati prelevati e
analizzati almeno 300 campioni”. In un’altra intervista rilasciata dopo
l’esplosione dell’allarme-amianto Corvaglia afferma quanto segue: “L'amianto non era un parametro previsto in
quanto non era a conoscenza di ARPA la possibilità che il materiale scavato
potesse contenerlo. Peraltro l'amianto è notoriamente un tema di carattere
sanitario, in quanto il problema della sua pericolosità non sta nelle sue
caratteristiche chimiche ma nelle sue caratteristiche strutturali intese come
configurazione e dimensioni delle fibre”. Come dire: non l’abbiamo trovato
perché non l’abbiamo cercato. E la stessa cosa è stata ripetuta la sera del 23 maggio davanti ai residenti sbigottiti. Ma se proprio l’Arpa ha fatto uno studio da cui
risulta che l’Appennino bolognese è pieno di ofioliti contenenti amianto! "E se
qualcuno doveva occuparsene, non eravamo noi". E chi era quindi? Infatti, a scoprire
che c’erano abbondanti quantità di amianto tra i materiali sversati nell’area, è stata la ditta Vianini-Toto-Profecta e non Arpa e neanche la USL, che dovrebbe quanto
meno tutelare i lavoratori del cantiere che da anni respirano la polvere sollevata duranti gli scavi, nel
trasporto e nella fase di stoccaggio.
Il volume distribuito l’altra sera s’intitola “Progetto
regionale pietre verdi. Le ofioliti, la loro estrazione ed il problema amianto”
e rappresenta la summa degli studi prodotti dalla Regione, frutto di una
collaborazione tra ARPA, Servizio Sanitario regionale, Università di Parma e
Università di Siena. Un volume fatto dall'Arpa ma sconosciuto alla stessa Arpa...
Lo studio, pubblicato nel 2004, produce dati raccolti in
alcune cave di ofioliti delle province di Piacenza, Parma, Reggio e Modena tra
il 2000 ed il 2002. Ed oltre ad essere ricchissimo di immagini, anche al
microscopio, e di dati, mette in guardia sulla pericolosità per chi lavora
nelle cave di estrazione di “ofioliti”. Lo studio presenta anche dati forniti
dal Registro Mesoteliomi della Regione Emilia-Romagna (30 casi rilevati tra il
1996 ed il 2003 nelle province considerate) ed altre indagini epidemiologiche
dell’Istituto Superiore di Sanità del decennio ’88-97. Resta il fatto che le
esposizioni dei lavoratori in cava hanno dinamiche completamente diverse da quelle di scavi nel
chiuso di gallerie, seguiti da trasporto dei detriti su nastri e su camion e
dallo sversamento con ruspe in un’area di deposito di grande estensione e
normalmente polverosa e ventilata. Non esiste infatti una letteratura
scientifica sull’aerodispersione di fibre d’amianto per una casistica come
quella del deposito AD5.
Infine resta il giallo sugli esami di laboratorio fatti
eseguire da Vianini-Toto-Profecta lo scorso marzo, che hanno scatenato
l’allarme-amianto. Secondo quegli esami, risultava "la presenza di
actinolite nel terreno in concentrazione variabile tra 35,5 e 72,7 g/Kg, a
fronte di un valore limite per la caratterizzazione dei cumuli di 1 g./Kg
previsto dal D. Lgs. 152/06". La quantità di actinolite risultante da questi esami è assolutamente
abnorme, e “non riscontrabile in tali quantità – come ha affermato la stessa
Adelaide Corvaglia nell’intervista concessaci – neanche nelle cave di asbesto”.
Messa in questi termini, la denuncia di quantità così eclatanti si configura
sempre più come un sabotaggio ai danni di Società Autostrade da parte del
consorzio appaltatore del cantiere che non come un allarme reale per i
lavoratori e per i residenti. Vedremo i risultati dell’indagine della Procura,
messa sul chi vive da un esposto del consigliere regionale M5S Andrea
Defranceschi.
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